Gino Finelli – Sono trascorsi trent’anni dalla scomparsa di Vittorio Parascandola, trent’anni che sono volati. Il tempo è passato senza che ce ne accorgessimo. Quel tempo che mi vedeva spesso seduto accanto a lui a chiacchierare ad apprendere storie, accadimenti di un’Isola che non solo amava, ma della quale conosceva ogni cosa e ogni gente.
Era il 1992 quando l’allora Sindaco Aniello Scotto di Santolo, mi chiamò per dargli una mano nell’organizzazione della Sagra del Mare. Era un periodo particolarmente difficile per il Comune che, non avendo alcuna disponibilità economica, aveva deciso di non fare quell’anno la manifestazione. Insieme concordammo di realizzare, nonostante l’enorme ristrettezza di fondi, la Sagra del mare utilizzando tutte le risorse artistiche dell’Isola.
Un progetto complesso e problematico, poiché da sempre i Procidani si aspettano dalla manifestazione un evento significativo e di rilevanza nazionale. Ci avviammo su un percorso ricco di ostacoli e difficile nella sua realizzazione, ma alla fine riuscimmo a portare a termine il progetto usufruendo ed utilizzando, per la prima volta nella storia della Sagra del Mare, le grandi capacità artistiche, in tutti i rami, del popolo procidano e dei suoi giovani.
Fu quello un esempio di grande coinvolgimento delle realtà locali e di integrazione e partecipazione collettiva. Fu un successo. E in quell’occasione un grande aiuto mi venne dato proprio da Vittorio che, non solo mi erudì sulle origini della Sagra del Mare e sui suoi padri ideatori, uno di questi era proprio lui, ma anche sul significato e sul messaggio che bisognava dare e cioè mantenere, conservare e preservare la storia e le tradizioni del nostro popolo. E mi sottolineò come il principale obiettivo doveva essere il mare, con i suoi caduti, le sue leggende, i suoi uomini.
Invitai Vittorio Parascandola alla serata finale e, nonostante già avesse dei problemi fisici, mi fece l’onore di essere presente in prima fila. Fu allora che compresi la sua popolarità e l’enorme affetto della gente. Infatti dal palco quando dissi: ringrazio per la presenza tra noi il medico, scrittore e saggista Vittorio Parascandola, un interminabile applauso, sentito, costrinse Vittorio ad alzarsi in piedi e ringraziare il suo popolo.
Era questo, un uomo all’apparenza rigido e a tratti burbero, ma sempre disponibile, ascoltato perché dotato di grande umanità e ampiamente riconosciuto come uomo di cultura. Anche se breve fu la sua esperienza da Sindaco, non vi è stato mai nessuno che ha messo in discussione le sue qualità umane, la sua onestà, il suo elevato sapere.
Tre libri: Vefio – un folk glossario sul dialetto procidano – La poltrona Rossa e L’Isola dentro, quest’ultimo a mio parere, un vero capolavoro.
Un affascinante racconto sugli isolani, del loro legame profondo con il territorio, che diviene modo e filosofia del vivere. Una narrazione avanti nel tempo che vedeva nella morte dell’Isola la morte di una dimensione dell’animo, dunque la necessità di adoperarsi con un impegno morale, civile, ecologico. L’Isola diviene così il sentimento, l’affetto e anche il dolore.
E di questo Vittorio soffriva, di quella condizione psicologica che in medicina si identifica con il termine di naupatia, non già intesa come il mal di mare, ma come il mal di patria e cioè il desiderio, che diviene prepotente quando si lascia lo scoglio, la propria terra, di volerci al più presto ritornare.
Quando ebbi l’onore di presiedere il Consiglio Comunale dal 2000 al 2005 spinsi fortemente per la ristrutturazione della Sala Consiliare, cosa che avvenne e proposi in Consiglio Comunale di intitolarla a Vittorio Parascandola. L’unanimità del consenso mi confermò, ancora una volta, la grande stima e i valori umani e culturali che aveva lasciato.
Il Comune di Procida farebbe bene a intitolargli una strada o una piazza, ad un suo figlio che ha dato lustro alla sua terra e che attraverso i suoi scritti, il suo operato e il suo spessore culturale ha contribuito a far conoscere l’Isola e le sue genti.
Oggi tutti sembrano eredi di Vittorio, ma per esserlo bisogna avere una grande personalità, un carisma innato, una elevata cultura, un senso profondo di onestà e lealtà e infine bisogna amare talmente tanto la propria terra, da rinunciare a qualcosa di proprio per la sua salvaguardia.
Ho riletto di recente L’Isola dentro e forse sarebbe opportuno ristampare l’opera, farla leggere nelle scuole, e perché no, regalarla a tutte le famiglie procidane. Si imparerebbe forse ad amare di più l’Isola e a ad essere, per davvero, quello che spesso si sbandiera: Procidani.
Mi piace chiudere il suo ricordo con una frase che sintetizza, a mio parere, il suo pensiero e cioè quello di conservare, preservare, custodire, la bellezza, la storia, il valore della sua gente, le tradizioni, l’ineguagliabile importanza di questo piccolo scoglio nel Mediterraneo.
“L’uomo è la specie più folle, venera un Dio invisibile e distrugge una natura visibile, senza rendersi conto che la natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando” (H. Reeves)