Giovanni Romeo – Ha suscitato viva curiosità nei lettori la travagliata storia d’amore illustrata domenica scorsa su ‘Il Dispari”. Essa movimentò a Procida nel primo Settecento la vita di parecchie persone, a cominciare dai due protagonisti, Antoniella e Francesco. La richiesta di bloccare qualsiasi richiesta di matrimonio del giovane con altre donne, inoltrata nel 1715 dalla ragazza alla Curia arcivescovile di Napoli, alimentò alcuni anni dopo una causa vivace, a tratti scoppiettante.
Fu soprattutto il contrattacco giudiziario di Francesco a presentare ai giudici un quadro molto diverso da quello delineato pochi giorni prima in tribunale dalle poche amiche di Antoniella. L’accenno vago di una di esse alla cattiva fama della ragazza, a suo dire ‘trombetteata’ (un neologismo suggestivo, che esprime bene l’importanza crescente delle voci nella piccola isola) solo dai malevoli amici del fidanzato, diventò di lì a poco un fiume in piena.
Per i numerosi testimoni schierati a difesa di lui (cinque uomini e cinque donne), quasi tutti legati al mondo contadino che gravitava attorno a una delle chiese più frequentate dell’isola, quella dell’Annunziata, è Antoniella la pietra dello scandalo. Il fratello del curato non c’entrava nulla: era una brava persona. A lei invece si rimprovera la relazione con un sacerdote ricco e potente, don Innocenzo Porta, di cui tutti parlano molto male.
Proprio per quel rapporto proibito l’ecclesiastico, ben noto per la bella casa, dotata di doppio ingresso e ricca di mobili e quadri, ma soprattutto per la libertà dei suoi costumi, era stato alla fine processato e incarcerato. Per la delicatezza del caso lo scrivano del tribunale arcivescovile si era dovuto recare nell’isola: solo così avrebbe potuto raccogliere le deposizioni di donne che difficilmente sarebbero state autorizzate dai mariti a raggiungere la Curia.
In quegli anni, a Napoli come forse ovunque in Italia, ci poteva essere tolleranza per un sacerdote dedito ad occasionali scappatelle, ma non per chi, come don Innocenzo, viveva, oltre che con una nipote ‘monaca di casa’, con i quattro figli avuti da una precedente relazione, e riceveva volentieri lunghe visite da parte di quella donna chiacchierata.
Entrambi però avevano gli occhi addosso e cercavano il più possibile di tenere nascosti quegli incontri proibiti. Si spiega così una circostanza curiosa: Antoniella si avviava spesso di sera verso la chiesa dell’Annunziata con la madre o con un’amica, entrambe con la testa velata da mantiglie, per sviare l’attenzione di passanti e vicini. Alla fine, però, svoltavano verso la casa del sacerdote, dove lei a volte si tratteneva fino al giorno dopo.
Anche per questi motivi le valutazioni espresse dai testimoni su quella relazione sono piuttosto pesanti per entrambi, ma soprattutto nei confronti del ricco e potente ecclesiastico. Se è vero che in tutta Italia gli archivi documentano la diffusa tolleranza dei fedeli verso quegli eccessi, non è così per don Innocenzo. La sua vita disordinata è giudicata da tutti in modo molto negativo.
La prova più sorprendente viene dalla dettagliata deposizione di uno dei suoi migliori amici, Michele Schiano di Colella, un giovane e ricco mercante di vino. L’uomo, che aveva anche solidi rapporti di affari con il sacerdote (gli smerciava in mezza Italia i prodotti delle svariate masserie che possedeva a Procida e a Monte di Procida), era davvero indignato con don Innocenzo.
Dichiarò ai giudici senza peli sulla lingua che più volte, esasperato per i suoi continui abusi sessuali, era giunto addirittura a rammaricarsi che non fosse stato ammazzato insieme al prelato che gli aveva conferito l’ordinazione sacerdotale. Inoltre, quando gli era stato riferito nei dettagli l’ennesimo incontro proibito tra lui e Antoniella, si era infuriato, maledicendo entrambi (‘mannaggia l’ora che è vivo isso ed essa’) ed era stato anche tentato di andare da don Innocenzo a dirgliene quattro.
Ci aveva però rinunciato subito, sia perché non sarebbe servito a nulla, sia perché si sarebbe anche dovuto sorbire una insopportabile lezione di morale (‘chisso mo se mette a fare lo padre Casalicchio con micho’, aveva pensato tra sé e sé, con un cenno scherzoso a un noto gesuita lucano coevo, attivo come predicatore a Napoli e verosimilmente anche a Procida fino alla morte, nel 1700).
Con quei chiari di luna – ecco il senso della sua testimonianza – cosa avrebbe dovuto fare Francesco? Secondo Schiano di Colella si era allontanato per sempre da Antoniella, non appena ‘aveva inteso dire che erano rotte le cancelle, volendo dire in lingua procidana che detta Antonia era stata deflorata’: una decisione ovvia, inevitabile. Come aggiunsero molti testimoni, quando una donna ‘se la fa con huomini’ o bazzica in case di preti, non è ‘femina legitima’ ed è inevitabile emarginarla.
Dopo quella sequenza di deposizioni per lei disastrose, Antoniella reagì forse d’istinto: preannunciò una nuova lista di testimoni a discarico. Ma passarono solo pochi giorni e decise di non attendere neppure la sentenza, convinta forse dall’avvocato che la sua istanza sarebbe stata rigettata: fu lei a rinunciare, a ritirarsi in buon ordine. Da allora le sue tracce si perdono per sempre, e non si può neppure escludere che abbia lasciato l’isola. Dopo appena venti giorni, invece, Francesco poté sposare la ragazza cui era legato da tempo. Rimase vedovo, non sappiamo quando, ma chiuse i suoi giorni nel 1773, all’età di 75 anni, per quei tempi un’età ragguardevole.