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Tra Procida Roma e Napoli nel primo Novecento. La Chiesa ela fuga di don Gennaro

DiRedazione Procida

Apr 30, 2023

Giovanni Romeo – Con la fuga notturna da Procida di don Gennaro e della sua compagna (forse già unita a lui da un matrimonio civile contratto in data imprecisata) si chiudeva la fase più drammatica della vita
di un giovane costretto dalla famiglia a farsi prete. C’era così un primo punto fermo in una vicenda
ricca di colpi di scena e in qualche modo unica, per quanto mi risulta, nella storia dell’isola. Le
famiglie di Procida, che per secoli avevano dato filo da torcere alla Curia arcivescovile di Napoli
insieme al Monte dei marinai, la potente istituzione degli imprenditori marittimi locali,
continuavano ad avere un peso esorbitante nella vita quotidiana.
Non mi sembra casuale, tra l’altro, l’esito negativo di numerosi sondaggi condotti sulla
questione riguardo a Napoli e diocesi, ma anche in merito ad altre aree della penisola. Per ora, per
quanto mi risulta, soltanto le monacazioni femminili forzate presentano quotidianamente, in ogni
angolo dell’Europa cattolica, scenari in qualche modo confrontabili con l’esperienza dolorosa
vissuta dallo sfortunato Gennaro.
Alla fine, in ogni caso, anche un giovane mite e rispettoso, che aveva subito per oltre venti
anni minacce e ricatti da parte di una famiglia pretenziosa e violenta, aveva trovato il coraggio di
dire basta, e nel modo più dirompente. È probabile peraltro che a dargli l’energia necessaria per la
clamorosa decisione fosse stata una novità significativa, intervenuta forse pochi anni prima della
fuga: la laurea in lettere, che gli aveva fruttato in breve una cattedra nelle scuole pubbliche e
l’indipendenza economica.
La scelta di regolarizzare il suo rapporto affettivo con il matrimonio civile potrebbe essere
stata una premessa altrettanto importante, quantomeno per la compagna. Grazie ad essa si
prospettavano per la coppia condizioni di vita più che accettabili, che la mettevano al riparo dalle
incognite della vertenza avviata con la Chiesa. Sulla sua nuova vita Gennaro però decise di tacere
nell’istanza al papa, forse per non aggravare una posizione di cui avvertiva la fragilità.
Non aveva tutti i torti. All’inizio, peraltro, la risposta dei vertici romani gli poté sembrare
incoraggiante, anche se forse era soltanto scontata. La Congregazione dei Sacramenti rimise il suo
esposto a Napoli, alle autorità diocesane competenti per territorio. Ma la loro reazione fu per lui
raggelante. Di fronte a quella patata bollente i superiori si trovarono forse in gravi difficoltà. Anche
se solo ricerche mirate potranno accertare le motivazioni delle loro scelte, una cosa è certa. Talune
informazioni sommarie raccolte dalla Curia arcivescovile sulla violenza lamentata dal giovane
furono attinte secondo Gennaro da fonti ben poco attendibili. Sicché, o per motivi di opportunità, o
perché avvertiti dal vicario foraneo o dal clero locale della delicatezza del caso, i superiori decisero
che era meglio lasciar decantare la situazione e attendere tempi migliori.
Perciò nel settembre del 1920, a meno di un anno dall’invio al papa della supplica, lo
sfortunato sacerdote, forse consigliato dal confratello che aveva accettato di assicurargli l’assistenza
legale, ribadì direttamente alla Congregazione dei Sacramenti, non al papa, le sue dolenti richieste.
Fu un altro buco nell’acqua. Probabilmente le autorità romane trasmisero la nuova istanza

all’arcivescovo di Napoli, ma per lunghi anni nessuno prese a cuore la sua richiesta, che fu reiterata
ancora, in data ignota, senza risultati.
Quando, nel febbraio del 1925, per la quarta volta – aveva ormai 43 anni – Gennaro prese
carta e penna per richiedere una decisione, era evidente il suo bisogno di trovare pace, di vedere
finalmente riconosciuta la ragionevolezza di aspettative così a lungo ignorate. Non fu però un
semplice sollecito. Qualcuno dei suoi consiglieri più fidati dovette suggerirgli di motivare meglio il
nuovo ricorso. Il rilievo più importante riguardava la testimonianza informale che aveva spinto la
Curia arcivescovile a mantenere ferma la sua scelta di non procedere. Un sacerdote isolano aveva
assicurato i superiori che la scelta clamorosa della fuga era stata determinata solo dall’influsso ‘di
una recente distrazione’. Adesso, però, informatosi meglio, era pronto a revocare la sua precedente
dichiarazione…
Sin dalle prime righe era però esplicita e sincera l’insistenza di Gennaro sulla ragione che
più di tutte aveva sostenuto e rafforzato, sin dagli anni dell’adolescenza, il suo rifiuto di una carriera
che non lo aveva mai attirato, malgrado una fede profonda e sinceramente sentita: la ‘inderogabile
necessità di vita matrimoniale’. Era stato proprio il bisogno di affetti femminili il motivo principale
che lo aveva indotto a resistere il più possibile alle violente pressioni della famiglia.
Proprio la forza di quelle pulsioni lo aveva travolto sin da quando aveva 16 anni: sin da
allora, infatti, prima ancora di entrare in Seminario, Gennaro aveva avviato la prima di una nutrita
serie di relazioni amorose, destinata a durare per tutta la durata della permanenza in Seminario…Per
una di esse, tra l’altro, per la minore età della ragazza, era stato anche querelato presso il tribunale
di Napoli (asseriva però di essere stato prosciolto). Inoltre, anche dopo l’ordinazione sacerdotale
aveva avuto un lungo rapporto con una donna napoletana. La sincerità di quelle ammissioni gli servì
però a poco. Erano passati sei anni dalla prima supplica, ma ne dovevano passare ancora quattro per
uscire dal tunnel. (continua)

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