Eliana De Sanctis – Poetico, signorile, acceso, silenzioso, sublime e nostalgico, l’autunno è suo malgrado associato all’idea della morte per via di quel legame primitivo tra l’essere umano e i ritmi della natura, per cui rappresenterebbe il momento della sospensione della vita, l’annuncio dell’inverno che verrà.
L’uomo antico, che viveva principalmente di pastorizia e agricoltura, organizzava la propria vita tra il tempo del pascolo e del raccolto e quello della semina e del riposo. Così era per i Celti, un misto di popolazioni di lingua indoeuropea che circa 2000 anni prima di Cristo si stanziarono nel Nord dell’Europa. Essi avevano fatto di questo rito un vero e proprio culto: il nome con cui lo chiamavano era Semhain, ma la tradizione moderna lo cambierà in All Hallows’Eve, ossia Vigilia di tutti i Santi. Diremmo noi, Halloween.
Al polo opposto del continente, più o meno trecento anni dopo la nascita di Cristo, si era presa l’abitudine, presso la Chiesa Orientale, di commemorare i martiri con celebrazioni dedicate il 13 di maggio. Dovettero passare altri trecento anni affinché se ne interessasse anche la Chiesa Occidentale, probabilmente ereditando anche le dinamiche di un’antica festa romana. Sarà papa Gregorio III un secolo più tardi a spostare la celebrazione al 1° di novembre, che verrà proclamata festa di precetto sotto Gregorio IV e ammantata del titolo di solenne con Sisto IV.
La storia fa luce su uno dei dibattiti ideologici più animati dei nostri tempi, mettendo in risalto dei passaggi rilevanti: Halloween è una festa agreste che nulla c’entra con quella religiosa di Ognissanti se non per una concomitanza temporale che poi esprime un concetto più grande: il rapporto psicologico con tutto ciò che c’è di più turpe nell’esistenza umana, quali il lutto e la fine.
Ispezionando i meandri della coscienza ci si accorge che l’uomo è costantemente in contatto con l’idea di morte, che gli si manifesta sotto molteplici volti: come rottura di un vecchio mondo e la creazione di un nuovo, come elaborazione e superamento di un lutto o ritrovamento di libido e vitalità. E, non in ultimo, semplicemente per quella che è: conclusione e finitudine della vita umana, ciò che la caratterizza nel senso più radicale.
Al di là degli innumerevoli feticci di cui si traveste, l’essenza della morte è nel suo costituire un passaggio, sia fisico che interiore. La sua esistenza è una benedizione perché permette di risolvere cicli involuti: solo ciò che è in grado di morire può rinascere.
Oggi, in nazioni di sangue latino come la nostra, si tende a guardare con sospetto a feste di origine celtica come Halloween, vedendovi dentro un’esaltazione della morte e delle figure occulte a cui lo stesso nome originario della festa, Semhain (Signore della Morte, Principe delle Tenebre), richiamerebbe. La sua colonizzazione ideologica sembra usurpare il suo alter-ego cristiano, ossia Ognissanti, che il sentire religioso intende come glorificazione di tutti coloro che sono in odore di santità. A essa, però, è collegata la Commemorazione dei Defunti, che per i cattolici è il 2 di novembre; segno di una comunanza atavica tra gli spiriti di tutti gli uomini, che sentono forse molto più urgente la riconciliazione con la propria natura mortale.
E così si riattiva il circolo infinito in cui cicli stagionali, processi psicologici e sentimento religioso si fondono in un unico significato: l’esorcizzazione della morte nella speranza di una vita nuova.