Franco Ambrosino | Della processione del Venerdì Santo una cosa balza subito all’attenzione, la caratterizzazione simbolica adottata da quasi tutti i misteri a manifestare la propria appartenenza a tale o tal altra associazione. Ancora una volta, come già lo scorso anno, quase tutte le tavole, finemente cesellate dalle straordinarie mani degli autori, ci hanno tenuto a manifestare ai più il loro colore, il loro credo associativo. Non è per amore della polemica a tutti i costi, dare risalto a quello che sembrerebbe un semplice dettaglio, che forse semplice non è, se non si conoscesse ciò che c’è dietro quei simboli, la storia delle associazioni, la storia delle persone coinvolte, di una tradizione cultuale e culturale, di un’intera comunità. Perchè la processione dei misteri, che affonda le proprie radici nel XVII secolo, che si perpetuata fino ad oggi, che ha visto l’alternarsi di intere generazioni, che ha visto la partecipazione di persone fin dalla loro nascita, in veste di angioletti, fino alla tardissima età, magari ancora con un cero in mano, che vede il coinvolgimento totale di intere famiglie, che in quei giorni abbandonano ogni altra attività, che coinvolge un’intera isola, che richiama i procidani che vivono fuori, i quali accorrono sempre con entusiasmo, approfittando per partecipare o far partecipare i propri figli nati “fuori”, quasi che fosse un secondo battesimo o una rinnovazione di fede, che richiama tantissimi ospiti fortemente suggestionati ed appasionati , è la rappresentazione colletiva della passione di Cristo, secondo l’interpretazione che ne da ciascun mistero, con eccezionali combinazioni artistiche di legno, metallo, carta, cartone, plastica, polistirolo, vetro, maiolica, ceramica, tessuti, argilla, terra, acqua, pittura, scultura, mosaico ed altro ancora, secondo creatività e sensibilità. Questa è la prima essenza e partecipare ad essa era ed è un momento ed un modo per rinsaldare il proprio legame con la comunità e magari anche, per un’istante, con la fede. Pathos, comunità, preghiera e quel suono lancinante di tromba, che ad ogni ripetersi strappa un brandello di carne viva, questi sono i fondamenti di un legame che si rinnova ogni anno. Lasciando da parte ogni altra considerazione ( sulle assenze, sui numeri delle presenze, procidane e non , sull’andamento della processione durante il percorso), quei due simboli diversi, affissi in testata a ciascun mistero, a dirci sono bianco, sono nero e se non c’è ne alcuno, sono turchino, sembrano marcare una differenza troppo moderna, troppo indulgente verso una ricerca di qualcosa di ulteriore che non sia il senso di un’appartenenza, del perpetuarsi di una traditio.
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1 commento su “Bianco, nero e turchino. Misteri della fede”
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ancora una volta avete scelto la foto del mistero super
l’unico mistero degno di tal nome
cultura e tradizione misteriale vince ancora sui ragazzi dei misteri
questo è arte signori