Redazione | È il 16 marzo del 2009 quando arriva la notizia che, nella notte, è stato commesso un furto nell’abbazia di San Michele. I ladri hanno portato via oggetti ecclesiastici di notevole valore storico e artistico, una collezione di pastori del Settecento, un crocifisso in legno alto oltre due metri e mezzo e pietre preziose.
Nella chiesa vengono recuperati alcuni attrezzi da scasso e sul pavimento c’è una macchia di sangue. Ma gli indizi principali arrivano dalle intercettazioni telefoniche, quelle che i carabinieri hanno avviato da tempo mettendosi sulle tracce della banda che intanto sta terrorizzando i quartieri bene di Napoli con i furti negli appartamenti.
Sui nastri finisce anche il rumore degli attrezzi mentre si sta scassinando il portone della chiesa e quello del motore della barca spinta a tutta velocità per fuggire dall’isola immediatamente dopo aver caricato la refurtiva, attraccando a Castelvolturno, in località Ischitella, da dove erano partiti e dove trovano ad attenderli Giuseppe Criscuolo, l’uomo che gli inquirenti identificano come ricettatore in società con i fratelli Francesco e Gennaro, nonché presunto ispiratore dei furti commissionati al gruppo che farebbe capo all’altro fratello Mario.
Si scopre che il furto è stato progettato per giorni, fra scambi di telefonate tra i membri della banda che parlano con un linguaggio in codice.
«E senti, quell’imbasciata là… vogliamo andare sabato a fare quella partita di pallone?» «Ce lo fa sapere lui, perché non ha apparato la squadra» «Io lo volevo far venire, hai capito… vado a vedere, inizio a affittare il campo perlomeno».
Ascoltando conversazioni di questo tenore, i carabinieri intuiscono che i componenti del gruppo si stanno organizzando per un furto e che il luogo non sarebbe stato facile da raggiungere. Il gruppo si procura un’imbarcazione, poi un guasto al motore li costringe a rimandare di qualche giorno l’appuntamento. Solo dopo la denuncia del furto e confrontando i luoghi delle celle agganciate dai telefonini degli indagati e i tempi, i carabinieri risalgono ai presunti responsabili del raid.
Un furto che, come scrive il gip nel provvedimento, «tenuto conto della natura e del valore dei beni sottratti (peraltro non interamente recuperati), ha cagionato un danno patrimoniale di rilevante entità». I ladri sono intercettati anche mentre commentano le opere rubate e si affannano per liberarsene, piazzandole a qualche ricettatore. «E qua tenete pure quel bambiniello… e qua ti stai comprando 30 pezzi, il resto è tutto guadagno… 150 euro l’uno… dieci, quattordici… venticinque… ventisei… a 150».
il mattino