Redazione | Un incubo durato 316 giorni, dall’8 febbraio al 21 dicembre 2011. Oltre dieci mesi trascorsi sotto lo sguardo dei rapitori e la minaccia dei mitra, a bordo della nave o a terra, in un angolo sperduto della costa della Somalia. Per i marittimi della Savina Caylyn, petroliera della flotta degli armatori Fratelli D’Amato, tornare alla vita di tutti i giorni convivendo con i ricordi di quella terribile esperienza è stata un’impresa. Ma c’è chi da quell’incubo non ne è ancora uscito, come nel caso di Gianmaria Cesaro, allievo ufficiale di coperta di Piano di Sorrento.
“Disturbo post traumatico da stress”, si legge nel referto stilato dallo psichiatra che da quattro mesi lo sta seguendo. “Temo abbia la sindrome di Stoccolma”, dichiara il padre Antonio, che racconta con voce spezzata le tante difficoltà che il figlio e la famiglia stanno vivendo da nove mesi, da quando cioè i membri dell’equipaggio, cinque italiani e diciassette indiani, sono tornati a casa.
E chiede aiuto, Antonio Cesaro, per suo figlio: “E’ depresso, soffre più adesso di quando era in Somalia – racconta all’Adnkronos – è dimagrito, mangia pochissimo. Quando non è fuori casa resta nella sua stanza senza dire niente, non vuole che gli si facciano domande”.
A far soffrire il padre è il modo in cui Gianmaria parla dei suoi rapitori: “E’ come se gli mancasse quella situazione, parla con tenerezza di quei ragazzi che lo hanno tenuto in condizioni disumane per mesi. Dice che sono giovani, che si potrebbero ancora recuperare. Lui è qui, ma con il pensiero è ancora con loro”. larepubblica.it
e i nostri eroi come stanno——? non li vedo più per strada—–