Sebastiano Cultrera | Il rinvio a giudizio di sessanta procidani richiesto dal giudice Henry Woodcock per vicende legate a presunti abusi per la Cassa Marittima è una notizia che non riguarda solo i diretti interessati, ma un modo di essere di una grossa parte della comunità. Le vicende tecnico processuali le conosco poco, ma altre cronache hanno riportato, per varie vicende, il modus agendi della Procura di Napoli e segnatamente di quello ufficio di accusa. Cominciamo, quindi, col dire, senza tema di essere smentiti, che nel costume di quegli inquirenti la tutela e l’attenzione ai diritti e alle ragioni degli indagati è, di solito, ai minimi possibili. Certo qualcuno può anche ergere Woodcock ad eroe della moralità, a giustiziere del BENE contro il male dilagante (un altro…). La mia cultura garantista ripugna l’idea dei giustizieri e credo che il mestiere di giudice dovrebbe essere esercitato con grandi cautele e senza spettacolarizzazioni. La stessa dimensione del fenomeno (ad occhio e croce sono accusati di reato circa il 5 per cento dei marittimi procidani attivi) restituisce alla vicenda un aspetto sociale che supera i sia pure intangibili diritti e le dovute cautele riguardo ai singoli indagati. Infatti proprio perché la responsabilità penale è personale, l’idea solo accennata di una campagna moralizzatrice contro un presunto malcostume “diffuso” è non solo anticostituzionale, ma anche proceduralmente scorretta. La storia della marineria procidana vanta strumenti sociali e collettivi di difesa della vita dei marittimi e delle loro famiglie (il più noto è il Pio Monte dei Marinari). La Cassa Marittima è una conquista democratica moderna dello stato sociale contemporaneo. E’ evidente che una istituzione benemerita può essere messa in cattiva luce da abusi e da prevaricazioni. Tuttavia, negli anni, la gestione autonoma della Cassa Marittima è stata sempre attiva, e solo in tempi di invadenza dei mostri INPS e INAIL i conti si sono messi in discussione. Non deve sfuggire, poi, alla disamina complessiva, che la storia ha consegnato al Sud arretratezza e sacche di disagio, e non è questa la sede per approfondire i motivi. Rispetto a ciò l’assistenza è stata elargita anche con strumenti impropri (generose invalidità, allegri periodi di malattie, sussidi non sempre meritati, assunzioni senza lavoro): Procida non ha fatto eccezione. L’attuale clima di moralizzazione giustizialista, secondo alcuni, è giusto e opportuno rispetto alle storture e agli sprechi dei decenni scorsi. In parte è vero, tuttavia bisogna dire che non vede alla luce, parallelamente, un welfare giusto e capace di dare risposte ai bisogni di fasce di cittadini e di interi territori. Questo ritardo è ancora più colpevole in tempi di cogente crisi economica. E’ un’ulteriore sintomo di una debolezza estrema della politica. “Per risolvere un problema bisogna prima ammettere che esiste” dice il protagonista della serie televisiva “The Newsroom” che sta avendo grande successo (In America, naturalmente, ché in Italia gli ascolti sembrano stentare). Ecco, forse questa vicenda può ridurci alla consapevolezza che Procida ha un problema: economico, sociale, di vocazione, e, in definitiva, anche politico. E la consapevolezza può essere destata proprio dal fatto che l’allarme non riguarda vicende laterali, ma un fatto centrale nella storia dell’isola: il lavoro marittimo: sia pure in una forma indiretta, come una (impropria?) integrazione del reddito. Certo, conseguita, spesso in una maniera discutibile, ma che era, finora, socialmente, legalmente e forse, istituzionalmente, tollerata. E’ come un vero e proprio secchio di acqua gelata sul volto della società procidana. Si può girarsi dall’altra parte, come fa chi reclama solo l’applicazione della legge, come se bastasse applicare la legge (e quale legge?) per risolvere i problemi del futuro. Si può cercare di guardare il dito senza accorgersi della luna, parlando delle fughe mediatiche della notizia, che ha causato pubblicità negativa agli indagati. E questo, permettetemi, sarebbe un aspetto comico della faccenda, se solo facciamo mente locale al fatto che viviamo, in Italia, almeno da vent’anni, in un clima di sistematica violazione del segreto istruttorio: ma centinaia di casi che gridano vendetta (e per i quali la nostra giustizia non decide risarcimenti, se non quando imposti dalla Corte di Giustizia europea), ci ricordano che la faccenda non è comica, ma drammatica. Tra l’altro credo che, a rigore di codice, la riservatezza venga meno dal momento della richiesta del rinvio a giudizio. Si può cercare di dire che siamo tutti votati al peggio (autogiustificando ogni piccola o grande mancanza), ma rimango dell’idea che la nostra isola ha una società di fondo sana e laboriosa, figlia di una Storia gloriosa che merita un futuro all’altezza del suo passato. Non serve neanche compiacersi di essersela scampata bella (per alcuni) o di essere incolpevolmente coinvolti (per tutti, fino a prova contraria). Credo che molti atteggiamenti di risposta “parziale” servano a schivare il problema, spostando lo sguardo o limitandolo ai diretti interessati: ma 64 famiglie attraversano amicizie e affetti dell’intera comunità, e non servono solo parole di conforto e solidarietà: reale, sociale, fattiva. Forse serve di più lasciarsi svegliare (TUTTI, anche chi non è direttamente coinvolto) dall’acqua fredda che ci ha colpito, e riconoscere, tutti, a partire dalla classe dirigente, che “abbiamo un problema”
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4 commenti su “IL RINVIO A GIUDIZIO DEI 60 PROCIDANI, LA MORALE E LA CULTURA DELLA MARINERIA ISOLANA”
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complimenti Sebastiano condivido tutto
ML
Non sono un marittimo! Ma penso che quello del marittimo sia un mestiere logorante, molto piu di tanti altri mestieri terrestri che si pregiano di tale caratteristica.
Penso che parallelamente alla cassa marittima, ci dovrebbe essere ,dopo l’imbarco per i marittimi, un periodo di riabilitazione obbligatorio e remunerato dalla cassa marittima in percentuale al periodo trascorso a bordo.
Un po come negli anni è diventata (per abitudine )la cassa marittima. Purtroppo esistono delle leggi, (da cambiare secondo me) e quindi ecco spuntare fuori, ogni tanto i paladini della giustizia; i salvatori della patria; gli stessi che poi davanti allo sperpero di migliaia di milioni di euro dei politici di Roma (e non solo)si mettono la lingua “in posti coperti” e lasciano “andare la barca……fin che va.”.
Chiaramente intendevo “NAVIGAZIONE ESTERA”, in particolare fuori dagli stretti.
situazione delicatissima ma le truffe quelle dei falsi imbarchi e degli statini gonfiati non controllati da Ipsema e INAIL vanno colpite sul nascere proprio per garantire chi sale veramente sulle navi.