Redazione | Sono trascorsi due anni e lungo la strada che da sulla casa di uno dei due rapiti procidani ancora sono visibili i fili di cotone dei festoni. Alla vigilia del Natale 2011 un’intera comunità tirò un sospiro di sollievo per la fine di un incubo. La Savina Caylyn un petroliera, lunga 266 metri e con una stazza di 105mila tonnellate, di proprietà della società partenopea Fratelli D’Amato fu varata nel 2008. Era salpata dal terminal petrolifero di Marsa Bashayer, in Sudan e il carico di greggio che trasportava era destinato a una società, la Arcadia Commodities Trading Company, e aveva come destinazione il porto di Pasir Gudang, in Malaysia. L’8 febbraio, mentre navigava nelle acque nell’Oceano indiano, a est dell’isola yemenita di Socotra, cinque pirati, a bordo di una piccola imbarcazione, avevano sparato raffiche di mitra e lanciato alcune granate incendiarie verso l’imbarcazione. Secondo la Marina Militare italiana, il capitano Lubrano Lavadera aveva tentato invano di sfuggire alla cattura aumentando la velocità, cambiando improvvisamente andatura e lanciando potenti getti d’acqua con gli idranti. La nave era stata alla fine sequestrata con tutto il suo equipaggio. Il Somalia Report, sulla base di fonti dei pirati, ipotizzò il pagamento di 11,5 milioni di dollari in due tranche, un prima da 8,5 milioni effettuato all’alba del giorno della liberazione, e un secondo di 3 milioni nella giornata. Oggi la Savina Caylyn ha un altro nome: si chiama Providence ed è stata acquistata da armatori Inglesi.