Redazione | Chiedeva sesso, il magistrato Donato Ceglie. Lo pretendeva, e lo otteneva, dalla moglie di uno che aveva fatto arrestare. Rapporti frettolosi e nascosti, consumati a volte nel suo ufficio della procura di Santa Maria Capua Vetere, a volte nelle stanze della procura generale a Napoli. Proprio lui, il pm simbolo della lotta all’abusivismo edilizio. Sulla carriera di Donato Ceglie, 56 anni, pende infatti dal dicembre scorso, una richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero Barbara Sargenti di Roma. Le accuse sono di concussione e violenza sessuale, perché «induceva — si legge nell’atto — Maria Rosaria Granata, 46 anni, moglie di Gaetano Ferrentino, a instaurare e proseguire una relazione sentimentale che gli procurava indebitamente rapporti sessuali». Abuso che sarebbe iniziato a Santa Maria Capua Vetere e proseguito anche dopo che Donato Ceglie, era il 2011, viene trasferito alla procura generale di Napoli. Una storiaccia ancora poco chiara, con un esito giudiziario ancora tutto da definire (la richiesta è ferma davanti al gip) e che però ha un prologo certo nel 2007. In quel periodo il pm napoletano sta seguendo personalmente l’inchiesta “Chernobyl”: scopre tonnellate di rifiuti interrati tra Napoli, Caserta e Vallo della Lucania, sequestra l’impianto di compostaggio nel salernitano gestito dalla So.Rie.Co., dove venivano smaltiti illegalmente quelli di quattro depuratori, e di cui Ferrentino è amministratore unico. Ceglie lo spedisce agli arresti domiciliari. Seguono un paio di anni di indagini, altri sequestri, il fallimento della So.Rie.Co. nel 2009. Poi, sempre secondo la procura romana, cominciano i «rapporti sentimentali e sessuali» tra Ceglie
e la Granata. Una relazione che, a prescindere dalla sua natura, forse consenziente forse no, avrebbe dovuto indurre il pm napoletano a abbandonare per ragioni di opportunità il procedimento contro Ferrentino, nel frattempo rinviato a giudizio. Cosa che non accade.
Accade invece che Ceglie si adoperi per trovare un lavoro alla Granata. Prima ordina il dissequestro dell’impianto di smaltimento, poi lo affida in gestione alla Compost Campania a cui nel 2011 rilascia «indebitamente — scrive la Sargenti — il nulla osta per riassumere Maria Rosaria Granata». La donna, infatti, era stata licenziata dal curatore fallimentare perché la Compost non poteva per contratto impiegare persone collegabili alla So.Rie.Co. di Ferrentino. Ma Ceglie, per la sua “fiamma”, riesce a ottenere una deroga. E continua a interessarsi del rinnovo del contratto di gestione anche dopo essere stato trasferito a Napoli.
Nel 2012 però qualcosa si rompe. Nelle caselle di posta elettronica di alcuni magistrati della Procura generale e alla redazione del Mattino iniziano ad arrivare decine di e-mail e fax del genere: «Il dott. Ceglie non è altro che un pagliaccio con la toga », «Dottore Ceglie, rientra nelle sue inchieste portarsi a letto le mogli degli indagati? E poi sparire distruggendo i numeri di telefonici? Aspetto una sua risposta », «da tre anni chiama ripetutamente e si porta a letto con ricatto la moglie di Gaetano Ferrentino».
Ma a quali ricatti si riferisce l’autore delle missive? Che cosa sa veramente? Fatto è che Ceglie decide di denunciare la Granata, sostenendo sì di averla incontrata, ma solo «limitatamente» e «sempre per motivi istituzionali ». I pm romani non gli credono, e così hanno indagato il magistrato che lotta contro la mafia dei rifiuti anche per calunnia, per aver incolpato la donna «pur sapendola innocente».
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