Redazione | Radya K. è un uomo sulla cinquantina e da oltre cinque anni vive sulla nostra isola. Ogni mattina si alza e va a lavorare la terra. Fino al 2010 faceva il manovale per una ditta edile. Le mani grosse sono segnate dalle rughe della fatica che ha conosciuto fin da piccolo a Pietrivs’ke, quando col padre andava ad arare i campi e spaccare pietre, da portare poi a Kiev. Quella città che da giorni è teatro di una guerra civile che non sta risparmiando morti e feriti. Una guerra iniziata già a novembre, dopo la decisione del presidente Janukovič di non firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea al summit di Vilnius . La firma del patto avrebbe significato un allontanamento dall’influenza economica russa e un avvicinamento implicito a Europa e Stati Uniti. Un sogno per una parte della popolazione Ucraina, stanca dell’oligarchia e del dominio Russo e che da sempre aspira ad un modello democratico occidentale.
Radya – che fa parte di quel centinaio di ucraini regolari che da decenni vivono nel tessuto sociale e lavorativo della nostra comunità – è uno di quelli che sposa la tesi della “rivoluzione”. Volto pallido e sguardo basso, lo abbiamo incontrato durante la pausa pranzo del suo faticoso lavoro e ci ha parlato del dramma suo e della comunità procidana nel seguire da lontano gli accadimenti di Kiev.
“Le spaventose immagini che arrivano attraverso la tv e che raccontano di una Ucraina divisa, noi le conosciamo già da tempo. Non sono una novità. Prima di venire in Italia e poi a Procida ricordo era il 2004, l’Europa e l’occidente sbagliarono ad appoggiare la rivoluzione arancione di Tymoshenko. Ma comunque è intollerabile che lo stato reprima la contestazione con le armi“. Le lacrime del ricordo si impastano a terra e fango in questa giornata di pioggia mentre Radya continua il suo racconto :” E’ difficile anche contattare telefonicamente i miei cari, attraverso il mio Skype riesco a chiamare solo alcuni parenti, vivo queste ore nel dramma più profondo“. Un dramma che continua ha far morti e insanguinare un paese.