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Affondamento del “Padre Pio” dove morì il procidano ANTONIO MANFREDI. Inizia il processo in Corte d’Appello

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Mar 6, 2014

Paolo Mosè | Nuovo confronto, questa volta dinanzi alla Corte d’Appello, per decidere la sorte del comandante Carlo Manuguerra e del timoniere Danilo Gianquinto, entrambi sulla motonave “Audace” che venne in collisione con il peschereccio “Padre Pio”, dove persero la vita i membri dell’equipaggio Antonio Manfredi, Salvatore Vespoli e Antonio Buonomo. Entrambi gli imputati vennero ritenuti colpevoli e condannati alla pena di anni due e mesi sei di reclusione nonché al pagamento in solido con il responsabile civile “Vetor spa”, società armatrice dell’“Audace”, in favore delle costituite parti civili.

Un processo che è stato lungo e tortuoso in primo grado, che da un lato ha soddisfatto le parti civili, ma ritengono che non vi sia una responsabilità di coloro che erano a bordo del peschereccio e che l’unica responsabilità debba ricadere, anche sotto l’aspetto civilistico, in capo ai due imputati. E lo sostengono con un’argomentazione che l’avv. Bruno Molinaro ha ben sviluppato negli atti depositati dinanzi alla Corte, che si è riunita nella giornata di ieri. La quale deve far fronte a diversi ricorsi, soprattutto dei due imputati, che si ritengono estranei a quanto è accaduto, alla tragedia del mare.

La parte civile, rappresentata in questo caso dall’avv. Bruno Molinaro per conto dei familiari di una delle vittime, chiede una riforma della sentenza sotto l’aspetto della responsabilità civile.

Dal canto suo la parte civile è più che convinta di aver dimostrato l’esatto contrario con i propri consulenti, nel riferire quanto sia potuto accadere prima, durante e dopo l’impatto, che non vi erano responsabilità in capo al comandante del peschereccio “Padre Pio”, per aver avuto un ruolo corretto, di aver predisposto tutte quelle segnaletiche in modo da avvertire della presenza del naviglio. Con l’accertamento tecnico disposto nell’immediatezza dei fatti dai vari comandi di Capitaneria giunti sul posto e che hanno poi verificato la nave posta sotto sequestro nel porto di Napoli, che l’“Audace” percorreva il tratto di mare interessato con il pilota automatico. Questa scelta è stata dichiarata discutibile da parte degli esperti delle parti civili che hanno evidenziato che questo tipo di navigazione non può essere utilizzata in tratti di mare dove c’è un’affluenza di piccoli e grandi navigli, come nel Canale di Procida. E che comunque anche se ciò fosse stato deciso ritenendosi sicuri, avrebbe dovuto indurre il comandante e coloro che erano sulla plancia ad essere particolarmente attenti e vigili su quanto avveniva lungo la rotta.

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