Redazione | Il molo venticinque di calata di massa – nel porto di Napoli – è un puzzle variopinto di ferro arrugginito e carcasse di navi. Abbandonate. Il cimitero di tante imbarcazioni che hanno dato lustro alla marineria italiana e mondiale. Tra queste spicca anche il “nostro” Bannock. La storia del Bannock è come un film. Se nel primo tempo la nave è stata un’eccellenza della marineria, storia di vita e di uomini, di ricerche e addirittura di guerra, il secondo tempo è l’esatto opposto. Un decennio o quasi di fallimenti, di soldi pubblici buttati via e progetti andati per aria. Come evidenzia bene una nota della Capitaneria del Porto di Napoli: “Allo stato dei fatti il progetto Bannock appare definitivamente compromesso e non realizzabile“. La sintesi in poche parole di una delle vicende amministrative che si trascina da fin troppo tempo. L’idea di farne un museo “galleggiante” con pannelli solari, sale per conferenze, scuola marinara, che non è mai salpata. Arenata anch’essa al molo 25. La ricostruzione dei fatti parte proprio a dieci anni fa. Era il 13 febbraio 2004 e con una delibera di Giunta veniva sottoscritto un protocollo d’intesa fra il Comune di Procida, l’Istituto Superiore Francesco Caracciolo e G. Da Procida e l’Autorità Militare per l’utilizzo della nave Bannock nel porto di Procida come Centro polifunzionale. Nel rapporto tra Capitaneria di Porto di Napoli e la Scuola Caracciolo il comune di Procida giocò un ruolo decisivo. Fu proprio il Comune con l’indomabile assessore Salvatore Costagliola a suggerire il passaggio della Bannock al liceo procidano e la stessa amministrazione si assunse praticamente tutti gli obblighi di gestione, tra cui anche il compito di spostare la nave nel porto di Marina Grande. Lo stesso comune ottenne dei finanziamenti (seicento mila euro) per il miglioramento delle condizioni della nave, considerato anche il fatto che la nave non era più in grado di svolgere navigazione anche la più breve come poteva essere anche farla approdare a Procida. I lavori iniziarono ma sopraggiunse lo stop che ne ha di fatto poi segnato il de profundis: scoprire che nel porto di Procida la nave non sarebbe mai potuta ancorare e poggiarsi – come descritto erroneamente nel progetto – sul fondale roccioso. Da allora solo fax e carte bollate. Numerosi richiami, ingiunzioni, dall’avvocatura dello stato, alla corte dei conti. Richiami della Capitaneria e Ministero dell’ambiente. Un pasticcio burocratico da cui hanno tentato di fuggire tutte le istituzioni coinvolte additando responsabilità anche in sede giudiziaria. L’ultimo atto è quello di pochi giorni fa quando il Comune con una Delibera di Giunta ( 76 del 7/5/2014 ) ha dato mandato all’avvocato Umberto Corvino di recedere dal protocollo firmato dieci anni fa con l’Istituto Nautico e di svincolarsi dal tutto venute meno, già da anni, le premesse dell’atto di stesura del rapporto contrattuale. Oggi parte dell’attrezzatura interna risulta rubata e lo scafo è ai limiti del galleggiamento pronto per affondare. Sembra un paradosso: la nave Bannock sopravvissuta allo sbarco in Normandia, sopravvissuta a Pearl Harbour, sopravvissuta agli attacchi subiti nel Pacifico a Guam e alle Marianne, in Giappone, sopravvissuta a tanta navigazione oceanica e oceanografica ( cit.) , finirà i suoi giorni – come appunto in un film – tristemente avvolto in un destino che non meritava.
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2 commenti su “BANNOCK: DOPO 10 ANNI IL COMUNE CHIEDE LA RISOLUZIONE DEL PROTOCOLLO”
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Il guaio
è uno solo,che non esiste la responsabilità penale e risarcitiva degli amministratori pubblici.
Si tratta di un vero e propria rapina dei soldi pubblici,dopo tutti ciò che il comune ha dovuto sversare per tenere il relitto a napoli.
dovrebbero risarcire tutto gli amministratori pubblici,ma, si sa,siamo nel ” paese delle banane “,dove è bravo chi sa rubare.
chissa se hanno proprio aspettato 10 anni per evitare che il comune dovesse risarcire i soldi ricevuti e buttati o mangiati